giovedì 1 dicembre 2011

Satira I

Breve introduzione filologica: la satira latina, definita come il primo genere "nato a Roma", pur derivando da modelli greci per le tematiche si differenziava notevolmente da esse in virtù dell'adozione di un metro "alto", quell'esametro dattilico dell'epica che da tempo mi balocco a rendere in Italiano.
Vuole il caso che io stia frequentando in facoltà un corso monografico sulla satira latina, e vuole la mia natura che io sia portato a comporre basandomi anche e soprattutto su quel che studio.

Avrete ormai capito qual'è la conseguenza delle due premesse.

Quella che vi presento è la seconda "satira" che ho iniziato a scrivere, ma la prima a esser stata completata; la sua sorella maggiore, difatti, è un satirone "di viaggio" che, pur coi suoi 700 e passa versi, non ho ancora completato.
In questo caso, invece, il tema è una sorta di polemica contro quanti attaccano la morale atea, come contro quanti agiscono senza alcuna morale reale, e si conclude con un piccolo accenno personale a quei problemi che ultimamente mi stanno un po' levando il sonno.



Molti lo so, non si pongono questi
Problemi: non seguon
Codici, alcuna morale, al di fuori
Del fare soltanto il
Proprio piacere. Non pensano poi a
Che cosa potrebbe, ef-
Fetto inatteso, accadere per causa
Di quanto compiuto.
Peggio, parecchi non mostrano cura
Degli altri, di quello
Che essi potrebber soffrire a ragione
Dei loro voleri.
Sono diverso, lo so, o quantomeno
Da tempo mi sforzo
D'esser diverso, seguendo dei duri
Principi morali.
Molti ritengon che noi, i “senza dio”,
Siam privi del tutto
D'ogni possibile sano valore; im-
Becilli: seguiamo
Codici nostri, e bizzarri talvolta,
Ma rigido e serio
Quello di quanti si pongono l'uomo
Qual solo obiettivo.
Spesso, è più duro seguire la legge
Dell'uomo rispetto ai
Mille supposti mandati divini:
Lo so, io lo soffro.
Quanto sarebbe più facile agire,
Seguendo soltanto i
Propri volevi, oltre i limiti, oppure
Peccare sapendo
Sempre a portata di mano una qualche am-
Nistia dei peccati.
Io non ricorro a mezzucci di questa
Miserrima specie:
Giudice sono, e carnefice spesso, a
Me stesso. E pertanto
Ora, da tempo, m'impongo una calma
Che certo non sento
Dentro, nel cuore: m'impongo freddezza -od
Almeno ci provo:
Quanto è difficile rendere muto
L'alato, il crudele!

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